Caro Padre Santucci, Amico Mio!
Mi chiamo Sergio Rigamonti. Ho avuto l’immenso privilegio di godere dell’amicizia di Padre Santucci per molti anni, di essergli vicino nella sua missione in Albania e poi durante gli ultimi anni di vita in Italia.
In occasione della redazione del suo libro “Io sono un albanese” mi chiese un contributo che composi in forma di lettera e che qui trascrivo, perché credo testimoni di come appariva agli altri, almeno a chi lo ha conosciuto più da vicino.
Sono consacrato nella Comunità dei Figli di Dio di don Divo Barsotti. La mia consacrazione religiosa è una diretta, felice conseguenza dell’amicizia con Padre Ernesto.
Caro P. Santucci,
Grazie per avermi chiesto di scrivere qualcosa per il tuo nuovo libro. Lo voglio fare in forma di lettera, una lettera d'amore, intima, ma che non ha alcun bisogno di essere privata perché tratta di un amore fraterno che tende a essere universale come l'amore che ambedue proviamo verso il nostro Caro, Grande, Esigente Padre. Tu il fratello maggiore ed io il fratello minore, molto minore: tutto fumo e poco arrosto.

Un grande amico.
La nostra amicizia non ha bisogno di privacy anche perché “Non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto” (Lc. 12,2) e quindi è cosa buona svelare già qui i moti profondi del cuore, cosa tanto rara tra le persone, spesso più inclini al pettegolezzo e alle dicerie non sempre benevole.
Sei per me un grande amico! Il miglior amico possibile perché sei un uomo forgiato dal Vangelo.
Si avverte che la Parola é stata per te Padre e Madre, sprone e consolazione, una Parola amata e vissuta profondamente, senza sconti!
Sei un predicatore intenso. Le tue omelie arrivano al cuore perché partono da un cuore che ha esperienza di Dio. Si avverte chiaramente. Non ti ho mai visto leggere appunti e il discorso fluisce sempre chiaro ed energico, coerente e avvincente, capace di suscitare amore per Dio.
S’intuisce che hai una cultura vasta, eppure è così difficile indurti a dispute teologiche o a conversazioni spirituali. D'altronde non giova molto parlare di Dio, quello che conta e avere un vero rapporto con Lui! Talvolta mi sarebbe piaciuto tanto sentire il tuo parere su qualche argomento religioso di attualità ma tu hai sempre disdegnato risolutamente quel tipo di conversazioni. Nessuna esibizione, nessun autocompiacimento, nessuna inclinazione al pettegolezzo intellettuale e tanto meno a quello mondano. Un uomo severo con se stesso come un gesuita e indulgente con gli altri come vuole Papa Francesco.
Sei un figlio di Dio (“Tutti quelli, infatti, che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio.” Lettera ai romani 7,12-17), un uomo che ha saputo crocifiggere ogni desiderio terreno.
Quando fai sul serio ogni tua parola è detta per il bene degli altri. Non hai una parte da recitare ma, avendo scelto di non avere alcun potere personale da difendere, né un’immagine da salvaguardare, puoi essere sempre veramente te stesso, libero come ci vuole Cristo.
Prima di percepirti come sacerdote, colgo in te sempre la forza di una solida personalità, un uomo integro anche nel senso di intero, senza amputazioni, incapace di asservirti, senza affettazioni clericali, nessuna untuosità ma piuttosto un vago evangelico aroma di pecora... Non sei un nome in un organigramma, non una funzione ma un uomo a totale servizio di Dio.
Non ho conosciuto mai un prete con meno potere di te. Che io sappia non hai mai ricoperto incarichi prestigiosi. Pur essendo stato per lunghi anni l'unico sacerdote in un territorio vasto come una diocesi, non ne hai ricavato particolari onori.
Migliaia di persone battezzate, per anni hai celebrato più volte al giorno per recarti In più chiese possibili. Tutti ti conoscono. Un grande potere spirituale ma nessun potere religioso. Una grande fortuna! Il potere religioso, se mal amministrato, è il potere più pericoloso che esista, più pericoloso del potere temporale: sono, infatti, i sommi sacerdoti che all'epoca hanno deciso la morte di Dio!
Non hai mai avuto potere. D'altronde non ho mai notato che tu lo desiderassi o lo cercassi Altra cosa fondamentale! Desiderare il potere è cosa più adulterante che averlo!
L'unico onore che desideri è quello dell'altare, è servire Dio senza nessuna vanità. Qualche tempo fa mi hai detto che si contano sulle dita di una mano i giorni in cui non hai celebrato Messa e che per te celebrare è più importante che mangiare.


Nove nuove chiese in vent'anni di missione.
Credo che in Albania fossi ritenuto un prete ricco: lì in venti anni hai costruito una decina di chiese con il solo aiuto volenteroso dei tuoi benefattori. Quanta fiducia hai saputo conquistare! Attraverso le tue mani sono passate somme rilevanti, ma non hai mai avuto beni personali, sei vissuto di Provvidenza ed è difficile convincerti a comprare un abito nuovo. I calzini sempre bucati e le scarpe logore.
Mai un soldo in tasca da spendere per te stesso. Anche per acquistare i libri ti affidi alla Provvidenza, quasi debba essere lei a selezionare le tue letture. Nessuna mollezza, nessuna indulgenza verso il tuo corpo. Se fa caldo, sopporti il caldo, se fa freddo tremi con pazienza, se il cibo scarseggia, ti affidi docilmente alla Provvidenza, e questo accadeva spesso nell'Albania degli anni '90, se le cure non arrivano tempestivamente, aspetti, consapevole che non è certo il medico a decidere quando è ora di morire.
Hai trascorso numerosi anni in totale solitudine, nella canonica poco confortevole di una delle prime chiese che hai costruito. Spesso senza energia elettrica e con l'unica consolazione della preghiera.
Lo sconforto ti assale solo quando il corpo ti affligge con i malanni dell'età. Lo sconforto non è mai lamentazione ma dispiacere intenso di non poter continuare con energia la tua missione.
Sei l'umile servo inutile del Vangelo, la cui vera grandezza é essere strumento della volontà di Dio. Non credo che tu abbia mai previsto di poter fare quello che hai fatto. É Dio che ha voluto nove chiese in quel territorio, inaridito dalla dittatura. Non è cosa da uomini costruire nove chiese senza un soldo. É affare di Dio.
Dio in Albania attendeva da qualche tempo, ha sempre una tremenda sete dell’amore dell'uomo, e tu Gli ha dato case dignitose, dove aspettare. Saggio e innocente come Salomone, hai avuto come lui speciale mandato da Dio di costruire il tempio: "Signore se vuoi che io costruisca un’altra chiesa procurati i soldi!” Questa é la tua semplice preghiera, per mezzo della quale ti sei reso collaboratore di Dio.
Il salmo 36 recita: "Cerca la gioia del Signore, * esaudirà i desideri del tuo cuore.". Hai saputo pregare in modo gradito al Signore e Lui ti ha esaudito. Dev'essere una emozione travolgente accorgersi di aver fatto la Sua volontà e la Sua gioia! Credo non possa esistere felicità più intensa.
Come il tempio di Salomone ha dato modo a Israele di maturare crucialmente nel suo millenario percorso per diventare popolo di Dio, così le chiese che hai costruito sono il luogo dove Dio attende che il popolo albanese accetti di ricostruirsi in armonia con Lui; attende che si riappropri della fede e che le antiche radici cristiane producano nuovi virgulti.
Un giorno eri, assieme ad un amico comune, nel cortile di una delle tue chiese. Stavamo parlando di faccende edili. Da lontano è arrivato a piedi un vecchio contadino dal portamento umile e dall'espressione mite e gentile. Ti ha salutato con deferenza ed è entrato in chiesa. Si è inginocchiato a lungo prima di sedersi in un banco ed è restato lì a pregare.
Quella persona anonima, solitaria, dall'espressione meditabonda e silenziosa mi è rimasta in mente perché, mentre la osservavo, ho pensato con emozione che se quella chiesa di campagna non fosse mai stata costruita, quell'uomo non avrebbe potuto avere quel momento d’intimità con Gesù.
Ho pensato che sarebbe valsa la pena costruire quella chiesa anche solo per consentire a quella persona di fare quella breve visita a Gesù. Ne sarebbe valsa la pena!
In chiesa possiamo vivere la medesima profonda esperienza spirituale di Mosè di fronte al roveto ardente: ascoltare Dio che pronuncia il Suo eterno immutabile "Io sono". In chiesa il cuore si converte, si orienta verso Dio, ottiene pace, una pace contagiosa che da lì parte come un fiume inarrestabile (i quattro fiumi che partono dal tempio e sulle cui sponde crescono alberi verdeggianti e pieni di frutti).
La pace vera proviene solo da li.

Hanno voluto uccidere Dio.
Nel caso dell'Albania, più che altrove, si può forse dire che Dio attende desiderante e paziente di essere resuscitato dall'uomo. Mi raccontavi che l'Albania è forse l'unica nazione, dove Dio è stato pervicacemente annientato per oltre quaranta anni con una ferocia e una determinazione rara. Nemmeno nei paesi dell'est si era raggiunta una simile crudeltà verso Dio. Le chiese rase al suolo o trasformate in magazzini, gli oggetti sacri distrutti, tutti i sacerdoti sistematicamente torturati, incarcerati e uccisi. Persino nelle famiglie, a causa del capillare e oppressivo controllo sociale, non era possibile pregare o parlare di Dio, perché ognuno viveva nella paura che un proprio famigliare potesse tradire o semplicemente rivelare accidentalmente notizie che sarebbero state fatali. Era sufficiente farsi il segno della croce per finire in galera. Dio poteva vivere solo nei recessi più nascosti del cuore di coloro che ne sapevano avvertire solitariamente la presenza.
La fine del regime e la moglie del dittatore.
Chi ha annientato il regime? Le rivolte studentesche, gli scioperi generali prima e le elezioni poi. Ma possiamo credere che la parola fine l'abbia detta Madre Teresa. Innanzitutto ha voluto portare Gesù nel cuore dell’Albania. Sapeva, quando venne nel suo Paese, che non lo avrebbe trovato. E, dopo tanti anni, lo portò con sé, Nella sua prima visita il Albania nel 1989, Madre Teresa aveva addosso una piccola pisside che custodiva ostie consacrate per dissetare un paese che aveva sete di Cristo.
Poi mi hai raccontato tu un episodio poco conosciuto ma significativo: Madre Teresa. ha incontrato la moglie del dittatore, alla quale ha regalato il Vangelo come pegno di salvezza.
Che potenza in quell'atto! La piccola “matita di Dio” porge all’anziana vedova del dittatore, complice delle atroci nefandezze compiute dal marito contro il suo popolo e in particolare contro i cristiani e contro la Chiesa, le porge lo strumento per salvarsi, per vincere dolcemente, dopo tante inutili battaglie cruente e crudeli, l'ultima vera battaglia della sua vita, quella che conta: l'incontro con Dio. Con quel gesto, lontano dagli occhi di tutti, intimo, ha sancito la vittoria di Dio su quella violenta declinazione dell'idiozia umana. Un atto umile, privato, nascosto ma terribilmente gravido di significati.
Questa donna che ha colluso col marito nel tentativo di cancellare Dio dalla storia e dal cuore dell'uomo, all'apice del suo insuccesso, può accogliere la salvezza dalle mani di una donna gradita a Dio, uguale a quei tanti che per tutta la vita ha torturato e massacrato.
Dio in quel momento si è servito di lei, quale umile strumento della misericordia divina, che sempre implora l'uomo di salvarsi per mezzo del Suo immutabile amore, qualsiasi nefandezza abbia commesso. Un Dio che ordina: “Non opporti al malvagio” (Mt. 5,38) e che è “integro. Con l'uomo puro è puro, con il perverso è astuto” (Salmo 17), perché non sa essere crudele.
Il male si è dissolto, liquefatto dalla forza del perdono. In Albania ora regna una straordinaria armonia tra le varie confessioni religiose (cattolici, ortodossi e mussulmani). Il Papa ha indicato l'Albania come esempio da imitare in questi tempi di radicalizzazione e fanatismo religioso.


Il primo incontro con Papa Francesco.
“Oggi sono al settimo cielo. Una bella concelebrazione, eravamo 350 gesuiti, stretti intorno a Papa Francesco. Alla fine c'erano i saluti. Quando sono arrivato di fronte a Lui, gli ho detto che ho trascorso venti anni in Albania, gli ho chiesto di benedire questa Nazione e adoperarsi perché i Martiri Albanesi siano beatificati al più presto. Mentre dicevo questo, il Padre Generale mi afferrava per un braccio perché mi trattenevo troppo col Papa e gli ho detto quello che avevo nel cuore e ho visto che faceva un cenno di assenso con gli occhi.”
E' una tua mail che documenta il primo incontro di Papa Francesco con i Gesuiti nella chiesa del Gesù e il primo incontro con te. Eri carico di emozione e felicità: un tuo confratello a capo della Chiesa e con una sensibilità molto simile alla tua... un regalo immenso! Dio è grande e imprevedibile.
Sei riuscito a regalare al Papa il libro di Didier Rance, curato da te, “Albania hanno voluto uccidere Dio”. Nelle prime pagine c'è l'elenco dei quaranta martiri albanesi, seviziati e uccisi dal regime, in attesa di beatificazione.
E' l'unico libro che racconta queste terribili storie. Dopo poco più di un anno il Papa arriva in Albania e nelle vie di Tirana troneggiano i ritratti di questi quaranta martiri...
Forse sono le vie della sottile diplomazia vaticana che hanno condotto il Papa in Albania, ma perché non credere che quel tuo abbraccio commosso e convinto, le tue brevi parole, splendido condensato di una vita, il libro curato da te, non siano stati l'ultimo piccolo stimolo che ha determinato la scelta del Papa di fare quel viaggio? E' proprio un caso che il Papa abbia poi scelto Betania (la sede albanese di una coraggiosa associazione italiana che si è presa cura di centinaia di poverissimi bambini albanesi) per la sua visita serale a un’espressiva realtà comunitaria? Lì tu hai vissuto per anni...
In realtà non importa molto sapere come il Papa abbia deciso di andare in Albania... l’ha fatto e tu forse sei stata la persona che ha goduto più intensamente quell'avvenimento, degno coronamento dei tuoi pluridecennali sforzi missionari.
Tre vocazioni o una sola?
Una vita scandita da tre vocazioni progressivamente sempre più elevate. La fase “estetica” del ragazzo che lascia la famiglia e i suoi averi per Dio. Costruisce la forma, l'involucro: la formazione, il ministero sacerdotale.
La fase centrale della vita, lo stadio “etico”, l'impegno verso gli ultimi, la condivisione delle loro sofferenze, della loro vita. Hai fondato nei quartieri spagnoli di Napoli una delle prime comunità terapeutiche. Sei stato un educatore capace di stare al fianco e non sopra o di fronte. Un amico, mai un’autorità. Un servo di Dio al servizio degli ultimi.
Il peccato dello spacciatore, del ladro, del rapinatore, del tossicodipendente non è solo un peccato personale ma la conseguenza nefasta di un peccato collettivo: l'aridità, la mancanza di amore.
Sono i primi a determinare l'esistenza degli ultimi. Il nostro essere primi determina la riduzione degli spazi vitali degli ultimi. La loro colpa é la conseguenza della nostra avidità e delle nostre omissioni, della cronica, diffusa difficoltà ad amare.
E poi lo stadio “spirituale”: la missione in Albania, il costruttore di chiese che strappa al mondo lembi di terra da consacrare definitivamente a Dio e che cura le anime inaridite da un regime deicida.
La perfezione ordinaria e comoda delle nostre vite é causa delle imperfezioni delle vite di molti. La vera perfezione é quella di Gesù che “pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono” (Eb. 5,8-9). Una perfezione profonda, totale, immensa che deriva dalla sofferenza, unica vera scuola di perfezione, di quella perfezione non fine a se stessa, auto compiaciuta, inutile e narcisistica ma voluta per la salvezza di tutti.
Tu hai cercato quella perfezione! La solitudine nell'apostolato tra gli scugnizzi e i tossicodipendenti napoletani, la solitudine assoluta del missionario, costruttore di chiese. Una solitudine densa di Dio, l'unico tuo vero amico. Un Dio geloso che ti ha voluto tutto per sé.


Solo con Dio.
In una mail recente lamentavi di non riuscire a ritornare in Albania per rivedere i posti, gli amici e probabilmente meditare sulla tua vita. Forse anche per incontrare ancora quel Dio che lì era stato cibo, sostegno e amico. Medici e superiori prudentemente si opponevano a questo desiderio. Era agosto e mi hai scritto: "Vedo che la possibilità di venire in Albania si allontana sempre di più. Il medico che dovrebbe dare il suo parere torna in sede solo alla fine del mese, troppo tardi... Sento tutto il peso della mia umanità... Solo il Signore è mia luce e mia salvezza... "
Caro P. Santucci, quale regalo più grande poteva farti il Signore se non quello di farti sentire che Lui ti vuole tutto per Se, distaccato da tutto, dai ricordi, dalle opere, dagli amici, privato di qualsiasi consolazione terrena per essere libero, nella piena maturità degli anni, di godere di Lui solo! Quale premio poteva essere più sublime?
Leggendo tra le righe della tua vita si percepisce che Dio ti ha sempre tenuto nel palmo della Sua mano, ti ha condotto e protetto con materna dedizione, somministrando sapientemente quelle sofferenze che, come per Cristo, sono state formidabile tirocinio di perfezione cristiana. E tu, sapientemente, ancora una volta e persino contro le tue comprensibili attese umane, ti abbandoni a Lui in quest’abbraccio, vero sposo di Cristo.
Cristo é l’uomo in cui Dio si è compiaciuto e noi possiamo andare a Dio solo come membra del corpo di Cristo. L'ardua scommessa è cercare di diventare come Lui, unica condizione per risorgere e vedere Dio.
Ecco che quindi non contano le opere, conta solo quel martirio interiore che ci fa assomigliare a Cristo e che ha bisogno di compiersi anche attraverso le opere. Le opere contano non per il loro valore concreto ma perché sono un atto di amore verso Dio, al quale Dio corrisponde con un sorriso compiaciuto, che colma il nostro cuore di Grazia. Quante volte avrai sentito il Grazie di Dio scendere nel tuo cuore!
“L'opera spirituale che purifica noi e sale gradita a Dio, non è tanto l'opera delle nostre mani in se stessa, quanto il sacrificio spirituale che s’immola nel tempio del cuore, ravvivato dalla presenza e dal compiacimento di Cristo Signore nostro.” (San Lorenzo Giustiniani)
La povertà.
Ti ho visto sempre convintamente povero. Contornato da pochissimi oggetti e sempre tentato di abbandonare anche quelli. I libri, gli appunti, gli oggetti personali, persino i vestiti in eccesso (una tunica!), anche i ricordi più cari, gli oggetti che ti hanno accompagnato per una vita. Padrone soltanto di un sentimento di amore profondo per Dio.


Non mi hai insegnato nulla ma da te ho imparato molto.
Non mi ha mai insegnato nulla, non ho ascoltato parole ma da te ho imparato molto. Ho avuto il privilegio di osservare il tuo modo di vivere, di reagire agli accadimenti, il tuo modo di intraprendere iniziative, di guardare gli altri. È il modo migliore di imparare: pochi pensieri, tante emozioni. I pensieri fuggono via, spesso si dimenticano. Le emozioni s’imprimono nell'anima, lasciano impronte profonde, dense di significato, che orientano la nostra vita. Questo è Il potere di una vita che si fa testimonianza di Dio.
La prima cosa che ho conosciuto di te sono stati gli articoli sparsi nel web. Parlavano di Albania. In un tuo articolo hai nominato Betania, l'associazione di Verona che ha fondato la più grande comunità di aiuto ai minori in difficoltà dell'Albania. È quell'articolo che mi ha orientato a iniziare una delle esperienze più pregnanti della mia vita. Per sette anni ho collaborato con quest’associazione che mi ha permesso di conoscere e stringere amicizia con decine e decine di bambini e ragazzi albanesi. Un'esperienza indimenticabile, profonda, che continua ancora, continua con l'intensa amicizia verso i ragazzi. Cinque di loro sono venuti a vivere con me. Un grande regalo! Due famiglie mi hanno adottato come papà, riempiendo la mia vita. Non io ho adottato loro, ma loro me! Meraviglioso! Non ho figli naturali e ora mi ritrovo a essere padre di numerosi figli e altri ne stanno arrivando: “Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente”: “La sterile ha partorito sette volte” (1 Samuele 2,1-10). Cose che possono accadere solo quando è all'opera lo Spirito creativo di Dio che agisce ben al di là delle miopi attese umane.
Stanco della solita routine, quella sera noiosa di molti anni fa ho cliccato casualmente nel web e, per merito tuo, da quel click è sgorgata una sorgente di carità incessante che è diventata torrente impetuoso e ora placido fiume. Ha allargato I miei orizzonti, riempito di gioia la mia vita ed è fonte di vita nuova per un crescente numero di persone...
Non sei un maestro.
C'è una frase importante nei Vangeli (Mt 23,8-10): “Voi non fatevi chiamare rabbì, perché uno solo è il vostro didàskalos (maestro) e voi siete tutti fratelli”.
Non ti sei mai atteggiato a maestro: non ti ho mai sentito collocarti sopra di me, ma sempre al fianco e talvolta persino sotto... quasi a voler spingermi in alto ma spingendo dal basso, con l'amore di una madre, più che con l'autorevolezza di un padre. L'esatto contrario di quanto accade nelle associazioni umane, troppo umane, dove, per forza di cose, esiste una verticalità: chi sta in alto e chi sta in basso. Purtroppo chi sta in alto deve sempre avere ragione, anche se sappiamo bene che chi sta in alto ha sempre meno ragione di chi sta in basso e lo dice proprio il Vangelo che chiama beati gli ultimi.
Il giogo leggero.
“Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servitore di tutti” (Mc. 9,35). Quando leggo questo brano del Vangelo, che tu interpreti bene, mi viene in mente la Cappella Sistina. Dio, Adamo, gli Angeli, l'universo intero, rappresentato mirabilmente, in tutta la loro stupefacente grandezza, ed in basso, quasi impercettibile, una piccola croce nera con Gesù che, come sempre, stende le braccia, appesa sopra un piccolo altare: è Lui che regge l'universo. La storia inizia e si conclude in Lui. Persino Dio per noi trae esistenza dallo sguardo di Cristo. E' quel piccolo crocefisso, nascosto lì in basso che regge la scena maestosa della vita. È chi sta sotto che regge il peso del mondo, chi sa farsi carico del giogo “leggero”.
Ricordi spesso che la tua vita è la conseguenza di tre vocazioni: la vocazione al sacerdozio, la dedizione agli ultimi nei bassi fondi di Napoli e la lunga missione in Albania. Credo che in realtà la tua vocazione sia una sola: l'essere un sacerdote Gesuita. Dio ha posto quella croce sulle tue solide spalle in età molto precoce. Ti sei lasciato docilmente crocifiggere e da questo giogo "leggero" è sgorgata una sorgente di felicità per te e per molti. È il grande mistero della vita: solo dal sacrificio accettato docilmente nasce vita vera e realmente gioiosa.


“E' quando sono debole che sono forte” (2 Cor. 12,9).
Ti sono venuto a trovare a Roma e a Napoli, nei grandi palazzi gesuiti, austeri e un po’ sgraziati come il naso di St. Ignazio, corridoi lunghi, vuoti e disadorni, dai soffitti alti, cellette ampie ma decadenti, arredi vetusti... eppure è dalla monumentalità anacronistica e decadente di queste residenze antiche, abitate ormai prevalentemente da persone anziane, che sgorga la novità del secolo presente, il messaggio dirompente di papa Francesco e la fede inossidabile di P. Santucci, suo entusiasta estimatore.
Non credo sia un caso che proprio adesso che questa nobile compagnia si trova ai minimi storici, abbia prodotto i frutti più splendenti, maturi e succosi. Probabilmente è volontà di Dio! "È quando sono debole che sono forte". È dalla debolezza che traspare evidente la forza di Dio. Quando la volontà propria, la forza umana, muscolare finalmente si consuma e deperisce, traluce lo Spirito e si comunica al mondo attraverso ciò che rimane dell'uomo, attraverso la sua essenza che è essere immagine di Dio.
Personalità come Papa Francesco non potevano emergere quando la Compagnia del Gesù era forte. Sarebbe stato percepito come esponente di una potente congrega umana, mentre adesso appare come il distillato di una raffinata spiritualità che si è evoluta e approfondita per 500 anni.
E' il seme, gravido di vita, caduto da un fiore sfiorito, dal quale nasceranno ovunque altri preziosi fiori.
La Trasfigurazione.
Spero che questa lettera non abbia il sapore di un’inopportuna e precoce santificazione. E con il ragionamento che segue, voglio convincermi che non lo sia.
La grande trasfigurazione, quella di Cristo, può essere vista sia come un mutamento di Gesù ma anche come un mutamento della coscienza degli apostoli che lì sul monte impararono finalmente a vederlo come Egli è.
Gesù é Dio anche prima di salire sul Tabor, ma solo lì, finalmente, anche ai loro occhi la divinità di Cristo si era resa percepibile. Forse quel giorno non è Gesù che si è trasfigurato, ma si sono trasfigurati gli occhi degli apostoli, contagiati dalla deità di Gesù: il loro sguardo aveva finalmente raggiunto la purezza necessaria per vedere in Cristo l'unico Dio.
Le piccole trasfigurazioni.
Ho ben stampato nella mente una tua frase ricorrente, che è il tuo unico criterio di giudizio, ed è la seguente: “Sono/sei stato capace di vedere in quella situazione il volto di Cristo in chi ti sta accanto e soprattutto nei più deboli?”.
Ognuno di noi è un'originale, irripetibile declinazione dell'Amore di Dio. Lui è presente in ognuno di noi e il compito di una vita è lasciare che non “io” ma Egli sia attraverso di noi e sgorghi dal profondo del nostro cuore dove sempre abita, rendendosi visibile agli altri. Dobbiamo diventare capaci di comunicare Dio.
Poiché questo morire a noi stessi per lasciare posto a Dio accade con fatica, è difficile scorgerlo.
Oltre alla grande Trasfigurazione occorrono quindi anche le piccole trasfigurazioni, cioè quei mutamenti di coscienza che segnalano i nostri progressi spirituali, l'incrementarsi della nostra capacità di amore. Possono accadere tutti i giorni e riempirci di gioia o non accadere mai e allora sono guai! Avvengono per contagio e accadono quando il contatto con un fratello mi rimanda a Dio o quando il mio rapporto con Dio, alimentato dalla preghiera, addensa il rapporto con un fratello. Si sente scattare una scintilla. Il cuore sussulta. Briciole di eternità percolano nel tempo e nello spazio.
E' l'Amore che agisce. Piccole trasfigurazioni che ci consentono di vedere il volto di Cristo, la scintilla di Dio nella persona che accostiamo, che ci spingono ad adorare il Cristo nascosto nell'altro.
E' quello che è accaduto a me con te durante la nostra amicizia, perché è facile e bello vedere l'azione di Dio dentro di te, caro P. Santucci! Ed è bello vedere la tua capacità di scorgerla negli altri. Persino in me hai cercato la scintilla di Dio.
Non sono servite molte parole. Si è trattato di un contagio positivo e questo scritto è la storia di questo contagio, delle piccole trasfigurazioni che hai saputo suscitare in me. E' la storia della mia santificazione, non della tua. La storia della tua santificazione la puoi scrivere solo tu.
Grazie P. Santucci, caro amico mio in Cristo.


