BREVI REPORTAGE SULL’ALBANIA.
Padre Santucci era un precursore nell’utilizzo del web.
Anche se anziano, pubblicava in internet brevi reportage dalla sua missione.
Ne trascriviamo alcuni.
PRESENTAZIONE :
Ho operato in Albania per più di vent'anni lavorando prima nel mondo della cultura e in quello universitario.
In un secondo tempo mi sono dedicato alla rievangelizzazione nei tanti villaggi del Distretto di Kruja e in particolare nella ricostruzione di chiese a cui vengono affiancati ambulatori, centri di animazione e doposcuola.
In occasione del mio cinquantesimo di sacerdozio viene consacrata a Derven la nona chiesa e mi viene conferita la decorazione pontificia " pro Ecclesia et Pontifice.
GLI INIZI
Avendo da poco compiuto i sessant'anni, pensavo di cominciare a mettere i remi in barca.
La mia esistenza. Finora, era trascorsa operosa e serena.
Nell'Istituto "Pontano" avevo trascorso circa sedici anni,insegnando e ponendo le fondamenta per un Gruppo scouts.
Poi, nei Quartieri Spagnoli, avevo aperto una specie di casa famiglia, ospitando giovani che vivevano per strada, rubando o facendo di peggio.
E in ultimo, avevo creato la prima comunità in Campania per tossicodipendenti "Il Pioppo".
Ma "le vostre vie non sono le mie vie" dice il Signore. E come ha parlato ad Abramo: "lascia la tua terra e vai dove ti mostrerò", così ha detto a me.
Nel maggio del 1991 avviene un fenomeno nuovo e inatteso.
Vecchie carrette di mare cominciano a sbarcare nel porto di Bari migliaia e migliaia di albanesi.
Questo fatto mi colpisce e mi turba. Vedevo le foto e sentivo le storie di questi giovani, vissuti sotto una dittatura crudele, che, caduti i muri, cercavano una vita migliore e innanzi tutto libera:
Da giovane, avevo sentito il desiderio di portare Cristo anche a popoli lontani. Ma la difficoltà ad imparare lingue nuove mi aveva sempre frenato.
Ora il desiderio tornava. Mi dicevano che molti albanesi comprendevano la lingua italiana, appresa dalla televisione ascoltata di nascosto.
Chiesi ai miei Superiori se fosse possibile andare noi in quella terra.
Apprendevo che l'Albania aveva vissuto circa cinquant'anni sotto un regime che aveva portato il discorso dell'ateismo fino alle sue ultime conseguenze.
Annullata per decreto finanche l'esistenza di Dio. E che ,specialmente i cattolici, avevano sofferto carceri, deportazioni, torture e morte.
La prima risposta dei miei Superiori fu vaga. "Adesso ancora non è possibile".
Poi, a settembre. "Non è un ordine. E' una proposta. Se vuoi, puoi andare."
Ricordo ancora il primo viaggio. Su una vecchia 600, caricata all'inverosimile, guidata da un caro amico, oggi defunto, che aveva un negozio di prodotti dolciari all'ingrosso, partimmo da Bari diretti in Montenegro. Poi, varcato il confine albanese, verso Scutari,
Decine e decine di tavolette di cioccolata furono il nostro "passaporto".
Dopo una breve sosta presso le Suore di Madre Teresa, durante la quale approfittai a regalare decine e decine di crocifissi, finalmente a Tirana.
Le strade erano quasi deserte, Circolavano soltanto alcuni macchinoni, residui del vecchio regime.
Ci ospitò Padre Zef Plumi, un francescano forte e asciutto, che aveva subito carcere e torture, ma che non si era minimamente piegato, restando sempre saldo nella fede.
Camerette di una povertà assoluta. I vetri della finestre erano rotti. Ma per me era come essere in paradiso.
L'avventura albanese cominciava. I ricordi si accavallano. La gente ci guardava come se fossimo angeli discesi dal cielo.
Capii subito che non dovevo essere come un extraterrestre. Dovevo essere uno di loro. Dovevo farmi "albanese".
E così ho trovato tanti fratelli e sorelle con i quali ancora oggi mi sento in sintonia.
Insieme siamo riusciti a risalire la china e insieme abbiamo gustato l'amore di Cristo.
padre Ernesto Santucci S.J.
IL CERCHIO SI ALLARGA
Un giorno le Suore di Madre Teresa mi invitano a celebrare la Messa in un villaggio dove loro si recano periodicamente a fare catechismo.
Accetto di buon grado. Il mio modo di procedere è quello di non propormi mai, ma di accettare sempre le proposte che mi vengono fatte.
Partiamo con un fuori strada carico di scatoloni di doni da distribuire e di giovani volontari. E' la prima volta che lascio Tirana, dopo vari mesi.
Percorriamo una strada che lascia subito l'abitato e ha un percorso tra campi coltivati.
Dopo una mezz'ora arriviamo a Bilaj, la nostra meta.
Va notato che i villaggi in Albania hanno le case disseminate tra i campi, non come da noi in Italia dove sono tutte concentrate intorno ad una piazza. Dopo una piccola salita, scendiamo. Ci accolgono parecchie persone che attendevano le Suore con impazienza.
C'è una collinetta. Si notano delle pietre emergenti da terra, il segno di una piccola chiesa rasa al suolo. Mi dicono che vi venivano portate le scolaresche, invitate a distruggere le mura.
Un po' più giù c'è una lunga costruzione di mattoni, fatiscente. Era il luogo della cooperativa dove venivano raccolte tutte le mucche del villaggio.
Venivano poi dalla città e tutto il latte prodotto doveva essere consegnato.
Mi balzò in mente l'idea che proposi a un gruppo di contadini. "Perché non ricostruire la chiesa ?"
I mattoni della fatiscente cooperativa potevano benissimo essere utilizzati. La mia proposta fu acettata con entusiasmo.
Proposi ai contadini di cominciare a mettere bene in evidenza l'area della chiesa che era tutta ricoperta da erbacce.
La settimana seguente era stato eseguito un buon lavoro. Volevo offrire ai contadini un dollaro a testa. Non vollero accettarlo.
"Abbiamo lavorato per la nostra chiesa "
E così è cominciata questa "avventura". Piano piano si rialzavano le mura.
Il denaro occorrente mi arrivava quasi miracolosamente. Fu determinate l'aiuto economico della Caritas di Roma, presieduta allora da Don Luigi Di Liegro, un uomo dalla carità immensa e di cui recentemente, è stato aperto il processo canonico che lo condurrà alla beatificazione.
Una delle prime Messe di mezzanotte del primo Natale in Albania l'ho celebrata un questa piccola chiesa, ancora non terminata, al buio illuminato sola da candele.
Le contadine portavano piccoli doni (formaggio, uova), che deponevano sull'altare ancora provvisorio.
Mi sembrava di essere nella grotta di Betlemme!
La chiesa poi, fu consacrata solennemente dal Cardinale Camillo Ruini che il giorno prima aveva accompagnato Papa Giovanni Paolo secondo.
Una marea di persone circondava tutta la zona. Era la prima chiesa cattolica ad essere ricostruita in Albania, il segno che la Fede tornava più forte di prima.
Da quel giorno in poi venivano "ambasciate" dai villaggi limitrofi, invitandomi a ricostruire anche le loro chiese.
E così è iniziato questo fatto, che non so definire, che mi ha portato a ricostruire (o a costruire) tante chiese, tutte nel Distretto di Kruja.
padre Ernesto Santucci S.J.
CHIESE E VILLAGGI
Bilaj, Murcin, Mallkuc, Arameras, Derven, Bubci, Gramza, Burizana.....tanti nomi di piccoli villaggi albanesi che non troverete mai sulle carte geografiche. Villaggi popolati ognuno da qualche migliaio di persone, villaggi disseminati nella pianura che si estende dai piedi di Kruja fino a Durazzo. Villaggi abitati da cattolici per la maggior parte, anche se non manca una componente musulmana.
Le case sono isolate per la maggior parte in mezzo a campo coltivati in maggior parte a frumento. Oggi molte di queste abitazioni sono state ricostruite e appaiono come villette a due piani, grazie al denaro guadagnato in Italia. Ma all'inizio ho visto case ancora con il pavimento in terra battuta e con le pareti di mattoni, prive di intonaco. Questa era la "dittatura del proletariato ".
Il contadino veniva usato come uno strumento di produzione, al quale veniva lasciato solo quello che a stento bastava per sopravvivere.
Le strada che collegano tra di loro questi luoghi, fino a poco tempo fa, erano polverose e piene di buche. Dopo la pioggia, formavano un grande pantano, difficile a percorrere in auto. Ora, pian piano,vengono asfaltate, con grande sollievo degli abitanti.
Dopo aver terminato la chiesa di Bilaj, cominciarono ad arrivarmi richieste dai villaggi limitrofi. Delegazioni di cattolici avanzavano la richiesta di costruire o di ricostruire anche le loro chiese.
Ricordo una scena dal sapore felliniano....Un giovane a cavallo galoppava davanti alla mia Land Rover percorrendo un tratturo impervio e polveroso in mezzo ai campi, diretto verso il villaggio di Gramza…
Per molto tempo ho celebrato la Messa all'aperto. Ora c'è una bella chiesa sul cui frontone sono scolpite su marmo le parole che la Madonna disse a Fatima "Alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà". E accanto la casa delle Suore Cappuccine dell'Immacolata, che sfornato iniziative a favore della gioventù.
Tanti ricordi si affollano nella mia mente. Nella chiesa, a Murcin, ancora in costruzione, tra le impalcature, un vecchio in ginocchio a pregare disse: "Sono felice perché prima di morire potrò rivedere la mia chiesa..."
Avevo fatto una scommessa con il buon Dio...Mandami il denaro occorrente e io ti ricostruirò le tue chiese...e la Provvidenza non è venuta mai meno!
La mia immensa gioia di battezzare bambini ed adulti, di celebrare le esequie, di fare i primi matrimoni....
In un villaggio, credo a Bubci, mi fu fatta una richiesta da parte di alcune anziane: "Padre, portaci una Suora, non ne abbiamo mai vista una..." E quando riuscii a realizzare il loro desiderio, l'accarezzavano, commosse.
Mi fu contestato una volta, da una troupe della Televisione Italiana, credo Rai Tre, il fatto che aiutavo solo costruendo chiese e non dando aiuti materiali. Dissi loro: "Chiedete voi cosa desiderano..." E la risposta corale fu "...le chiese", perché servivano loro per recuperare la loro fede, per sentirsi ed essere ancora una volta Cattolici!
Ma poi non è detto che pensassi solo alle chiese. Arrivavan tanti piccoli e grandi aiuti, secondo le necessità e i bisogni: distribuzione di coperte, di generi alimentari e altro.
In un villaggio mi accorsi che nelle case c'erano letti che erano soltanto dei giacigli duri e scomodi. Non restai in pace con me stesso fino a quando non riuscii a distribuire ad ogni famiglia materassi in grande quantità'.
Ricordi, ricordi,ricordi...Il mio cuore ancora è presente in quel territorio. Quelle persone sono per me più di fratelli e sorelle. Hanno un nome e un cognome e continuo a pregare per loro...
padre Ernesto Santucci S.J.
LA MORTE E I CIMITERI
La morte in Albania e specialmente nei villaggi, ha una importanza enorme. Si sente il senso del mistero ,della separazione dai propri cari e lo si solennizza in modo particolare.
Si ferma ogni attività. Il defunto (o la defunta) viene posto fuori dalla casa su un letto improvvisato, spesso sotto una pergola di vite. I parenti e gli amici accorrono anche da lontano.
Le donne in nero si pongono accanto alla salma e iniziano a cantare in tono mesto le lodi del defunto. Gli uomini in disparte preparano il caffè, che viene distribuito a tutti i presenti.
Quando arrivi sei accolto da una lunga fila di uomini, ai quali porgi la mano ed esprimi le tue condoglianze. E' di norma lasciare una piccola offerta, che servirà a coprire in parte le spese straordinarie.
E, accomiatandosi, si stringono ancora tante mani...
Ho compiuto tante sepolture nei piccoli cimiteri. La fossa è scavata nella terra. La bara, molto semplice, viene deposta e separata dal terreno da un piano di blocchetti di cemento.
Non c'è, come in Italia, cassa di zinco e chiusura ermetica. Il coperchio della bara viene deposto delicatamente, quasi a significare la fede di una futura resurrezione. Molto spesso, accanto alla salma, vengono poste fotografie e ,talvolta, anche denaro.
Poi ognuno getta un pugno di terra sulla bara. Sul tumulo vengono poste povere corone di fiori di plastica ed una croce di legno.
Dovrà passare circa un anno prima che si adorni la tomba con marmi.
Appena arrivato in Albania, ho notato che i cimiteri erano un po' trascurati. Naturalmente era severamente proibito mettere una piccola croce. L'erba cresceva e spesso tra i sepolcri pascolavano, indisturbate, le mucche.
E' stata mia cura far costruire recinti e cancelli per delimitare il luogo sacro e invitare a porre le croci sulle tombe.
La vigilia del giorno dei morti si ripulisce il cimitero e si pongono lumini sui marmi. Talvolta vengono deposte anche sigarette, caramelle e monete che diventano preda dei ragazzini.
Un mio desiderio sarebbe quello di essere sepolto anch'io tra quei semplici monumentini, nella pace della natura...
Voglio concludere con un ricordo che non cancellerò mai dalla mia memoria: la sepoltura di un piccolo bambino, forse di cinque,sei anni. La madre adagiò con delicatezza il coperchio,come se distendesse una coperta per proteggerlo dal freddo. Tornato a casa questa immagine mi tornava alla mente...L'ho fissata in questa poesia che riproduco.
CIMITERO DI BILAJ
Bambino senza nome,
ho gettato un pugno di terra
sulla tua piccola bara,
ho deposto una rosa sfiorita
sul tumulo d'argilla.
I tuoi occhi guardavano lontano
il viso era pallido come cera antica.
Prima di lasciarti per sempre,
mani amorose hanno aggiustato il tuo vestito.
Un paio di scarpine di plastica
erano in un angolo,
accanto ai tuoi piedini.
Le calzerai per correre
nei sentieri del Cielo.
padre Ernesto Santucci S.J.